mercoledì 15 novembre 2017

Pubblichiamo volentieri un esempio della deriva culturale, propagata in questo caso sulla rubrica Stendhal del quotidiano "La Provincia" e la lettera di risposta, mai pubblicata, di uno dei nostri redattori



Gentile redazione,
ho letto con raccapriccio la delirante (quella sì!) opinione del cosiddetto critico d’arte e scrittore Gian Paolo Serino, persona totalmente sconosciuta negli ambienti letterari, tranne che sui quotidiani, compreso il vostro, con cui si dice abbia collaborato (Lampoon il mondo proprio non la conosce).
Non entro nel merito delle capacità di scrittore di Roberto Saviano, poiché, giustamente, la cosa fa parte delle opinioni personali. Anche di un critico d’arte. Quello che mi colpisce dello scritto del Serino è il livore quasi personale che trapela in ogni riga, ed ancor più una umana ma mal contenuta invidia. Problemi suoi…
Ciò che mi indigna, appunto, non è la parabola umana che presumibilmente coinvolge il Serino dal punto di vista professionale, ma, inammissibile proprio professionalmente, il suo mettere in discussione tutto ciò che non rientra nei suoi punti di vista. Come si diceva una volta, fa di tutt’erba un fascio. I tuttologhi sono pericolosi e, storicamente, personaggi di bassissimo profilo. E ancor di più mi indigna che simili articoli vengano pubblicati come verità assolute.
Il Serino, ammorbato dal suo fantasma personale (Saviano in questo caso), si accanisce contro tutto ciò che, propagandato anche in maniera superficiale o, diciamo così, popolare, indaga su un mondo oscuro che dubito conosca. Aggrappandosi ad una cultura, quella sì, da Wikipedia, ma soprattutto gettando fango contro chi veramente si oppone ai fenomeni malavitosi che pullulano nel nostro Paese (e non solo). Lo fa colpevolmente, perché appunto parte da un presupposto del tutto personale. Nulla sa, o finge di non sapere, di una questione che non dovrebbe scomodare uno pseudo critico d’arte né nessuno di coloro che non vivono direttamente la situazione. Nulla sa dei sacrifici di coloro che sono in regime di tutela (non solo i da lui invidiatissimi intellettuali, ma anche magistrati e pentiti), nulla sa dei quartieri di degrado sociale che circondano le grandi città, nulla sa di coloro che in completo anonimato lottano per il prevalere di un barlume di giustizia. Pare che si basi semplicemente sui serial televisivi più o meno ben fatti (meno che più).
Del signor Serino mi cale men che niente, ma esigo che vi siano spazi pubblici adeguati di dissenso su ciò che voi pubblicate.
Cordialmente
Vittorio Bernasconi (scrittore, come Serino, conosciuto in tutto il mondo)


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