Legge Stabilità,
se i Comuni si fondono possono sforare il patto
I Comuni nati dal 2011 in poi a seguito
di fusioni, dovranno rispettare il patto di stabilità interno solo dal quinto anno in poi.
Le province istituite dal 2011 dovranno invece farlo dal terzo anno di
istituzione. Lo prevede uno degli 11 emendamenti del governo alddl Stabilità depositati in commissione Bilancio
alla Camera. L’emendamento prevede che “i Comuni istituiti a seguito di fusione
a decorrere dal 2011 sono soggetti alle regole del patto di stabilità interno
dal quinto anno successivo a quello della loro istituzione, assumendo quale
base di calcolo le risultanze dell’ultimo triennio disponibile”. L’esecutivo
ha presentato il pacchetto di emendamenti, frutto dell’accordo con l’Anci, venerdì 21. In
generale le proposte di modifica alla legge di Stabilità rendono meno
stringenti i tagli con cui i Comuni sono chiamati a contribuire al risanamento
dei conti pubblici. Il taglio complessivo di 1,2 miliardi chiesto ai Comuni
come contributo alla legge di stabilità rimane ma non dovrà essere più coperto
solo con la spesa corrente e potrà quindi riguardare ad
esempio anche gli investimenti.
Tra
le altre misure c’è la previsione che Comuni, Province, Città
metropolitane, Comunità montane e isolane e unioni di Comuni potranno rinegoziare
ulteriormente mutui già
rinegoziati per una durata massima di 30 anni “dalla data di perfezionamento della
nuova rinegoziazione, “consentendo una gestione flessibile del debito
pregresso”. Il tetto precedente era di 10 anni. Per le Regioni e le
Province che hanno chiesto anticipazioni per pagare i debiti pregressi, poi,
non sarà più necessario garantire l’equilibrio di bilancio per sottoscrivere nuovi prestiti.
“L’adempimento – si legge nella relazione illustrativa dell’emendamento – che dovrebbe
applicarsi per 30 anni, ovvero per la durata della quasi totalità delle
anticipazioni di liquidità, consiste nella dimostrazione del conseguimento
degli obiettivi del
patto di stabilità interno e dell’equilibrio strutturale di bilancio
regionale”. Inoltre, un altro emendamento del pacchetto Anci prevede che
il ministro dell’Economia, di concerto con la Conferenza Stato-città,
dovrà emanare un decreto con i criteri e le modalità di riduzione
delle risorse per
quegli enti locali che non rispettano il patto di stabilità interno. Fino ad
ora il decreto era stato predisposto annualmente e per l’autorizzazione della
sanzione, che in questo modo viene invece accelerata.
Viene
inoltre istituito al ministero dell’Interno un fondo con dotazione di 125 milioni
di euro nel 2016, 100 milioni dal 2017 al 2020, per “riconoscere agli enti
locali interessati un contributo in conto interessi per gli anni dal 2016 al 2020 sui nuovi
mutuiattivati nel 2015″. Nella relazione illustrativa
dell’emendamento si legge che la norma “consentirebbe di attivare operazioni di
indebitamento di circa 3 miliardi di euro, con significative ricadute positive
sull’attività di investimento degli enti locali”. La copertura degli oneri è
realizzata mediante tagli al Fondo per gli interventi strutturali di politica
economica. Prorogata poi al 31 dicembre per i Comuni la
possibilità, per agevolare i tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni, di
ricorrere ad anticipazioni di tesoreria per un limite massimo di cinque
dodicesimi. Lo prevede un emendamento del Pd – a prima firma Maino Marchi –
approvato dalla commissione Bilancio della Camera alla legge di Stabilità. Nello
specifico l’emendamento all’articolo 38, aggiungendo il comma 14-bis, modifica
l’articolo 2 comma 3-bis del dl 4/2014 su “disposizioni urgenti in materia
tributaria e contributiva e di rinvio di termini relativi ad adempimenti
tributari e contributivi”. Ecco la norma, come modificata: “al fine di
agevolare il rispetto dei tempi di pagamento di cui al decreto legislativo 9
ottobre 2002, n. 123, il limite massimo di ricorso da parte degli enti locali
ad anticipazioni di tesoreria, di cui al comma 1 dell’articolo 222 del testo
unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 è elevato da tre a
cinque dodicesimi sino alla data del 31 dicembre 2015″.
Lo
stesso pacchetto dispone inoltre che gli oneri di urbanizzazione (finora utilizzabili solo per investimenti)
possano essere utilizzati per la spesa corrente anche
per il 2015. Lo prevede un emendamento del Pd – a prima firma Maino
Marchi– approvato dalla commissione Bilancio della Camera alla
legge di Stabilità. La novità era stata annunciata dal viceministro
dell’Economia Pier Paolo Baretta e in un primo momento si era pensato
che la norma facesse parte del pacchetto degli emendamenti del governo sui
comuni. Nello specifico l’emendamento agisce sull’articolo 2 comma 8 della
legge n. 244 del 24 dicembre 2007 che per la prima volta ha introdotto la
deroga. Di norma gli oneri concessori dovrebbero essere usati per investimenti.
La norma del 2007, nel dettaglio, stabilisce infatti che “i proventi delle
concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto
del presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, possono essere
utilizzati per una quota non superiore al 50 per cento per il finanziamento di
spese correnti e per una quota non superiore ad un ulteriore 25 per cento
esclusivamente per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e
del patrimonio comunale”. Diverse leggi, nel corso degli anni, hanno prorogato
questa possibilità per i Comuni che, di fatto, hanno potuto usare una parte
degli oneri concessori per la spesa corrente fino a quest’anno compreso. Solo
al comune di Milano, grazie
ad una norma inserita nella manovra finanziaria dell’anno scorso per l’Expo, questa proroga era
stata già concessa fino al 2015.
Per
i Comuni che nel 2014 non hanno aderito alla sperimentazione della nuova disciplina contabile armonizzata,
diventa più graduale l’applicazione delle disposizioni che riguardano
l’accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità.
Secondo un emendamento, infatti, il prossimo anno si prevede che venga
stanziata in bilancio una quota del 36% (invece del 50%) dell’accantonamento al
Fond; nel secondo anno la quota passerà al 55%, nel terzo anno al 70%, nel
quarto all’85 per cento. Stessa gradualità, si legge nella relazione
illustrativa, si applica agli enti locali che nel 2014 hanno già sperimentato
la nuova disciplina: il primo anno e il secondo anno l’accantonamento sarà del
55%, il terzo anno del 70%, il quarto dell’85 per cento. A seguito della
gradualità dell’accantonamento, si legge ancora, “che determina una riduzione
dell’importo dell’accantonamento” vengono rimodulate anche le percentuali che
ciascun ente locale deve applicare alla media triennale della spesa corrente
per la determinazione dei saldi obiettivo egli anni 2015-2018. In particolare
quelle delle Province salgono a 17,20% per il 2015 e 18,03% per il triennio
2016-2018. Per quanto riguarda i comuni le percentuali da applicare alla spese
corrente ai fini del patto di stabilità interno salgono a 8,60% nel 2015 e
9,15% nel triennio 2016-2018.
Un’altra
norma prevede che dal primo settembre 2015 le spese per il funzionamento degli uffici
giudiziari saranno
sostenute direttamente dallo Stato e non più dai Comuni sedi degli uffici. La
relazione tecnica all’emendamento quantifica in circa
200 milioni di euro all’anno
l’importo aggiuntivo da iscrivere in bilancio a decorrere dal 2016 per il
passaggio delle spese. Infatti, fino a questo momento lo Stato erogava agli
Enti locali il 90% delle risorse, il restante 10% era a carico dei
Comuni. Secondo un emendamento del gruppo Misto-Minoranze linguistiche riformulato
dal governo e approvato dalla commissione Bilancio, infine, le disposizioni
della legge di Stabilità sono applicabili nelle Regioni a statuto speciale e
nelle Province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei
rispettivi statuti speciali e delle relative norme di attuazione”. La
riformulazione ha escluso il riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre
2001 n. 3 e aggiunge alla manovra l’articolo 46-bis “Clausola di salvaguardia
per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano”.
Vademecum per l'Unione dei piccoli comuni
Nessun commento:
Posta un commento